In caso di separazione uno dei due coniugi è chiamato a versare all’altro l’assegno di mantenimento. Ma è sempre così? Chiariamo ogni dubbio in merito.
Arrivare a una separazione non è mai semplice, ma a volte è una scelta inevitabile, specialmente se il rapporto non funziona da tempo. Portare avanti una relazione solo per inerzia o solo perché si ha paura a stare da soli non è certamente la scelta giusta. Questo non dovrebbe accadere nemmeno se si hanno dei figli in comune, loro infatti sono solitamente i primi a rendersi conto che qualcosa in casa non funziona come dovrebbe e possono manifestare malesseri evitabili.
Se si è deciso che ognuno debba prendere strade diverse, è inevitabile arrivare a un accordo. I due, infatti, devono cercare di spartirsi le proprietà in comune, casa compresa, specialmente se c’è un mutuo da saldare. Uno dei due poi dovrebbe poi versare un assegno di mantenimento all’altro, il cui importo deve essere stabilito da un giudice.
L’assegno di mantenimento è stabilito dal giudice
Si sente spesso parlare dell’assegno di mantenimento, ma chi non ha vissuto una separazione in prima persona spesso non sa bene di cosa si tratti e come venga stabilito l’importo. Questo compito spetta al giudice, che deciderà la cifra a cui avrà diritto il coniuge più debole economicamente quando si esprimerà sulla chiusura del matrimonio.
Questo tipo di assegno può avere funzione perequativa, quando serve a riconoscere un ruolo al coniuge più debole a livello economico. In alternativa, ha funzione assistenziale, quando diventa un sostegno economico successivo alla cessazione della convivenza ma in continuità con essa.
Non verrà mai concesso sotto forma di risarcimento, ovvero per dare un ristoro al coniuge in seguito alla fine del rapporto. Non deve essere pensato nemmeno con fini compensativi, ovvero non serve a dare una ricompensa al coniuge per la fine del matrimonio.
Non è sempre dovuto
A volte, però, l’assegno di mantenimento è ritenuto come un obbligo di cui si farebbe a meno da parte del coniuge che lo deve versare. Spesso, infatti, chi si trova in questa situazione si ritrova a dover sostenere anche le spese per una sua nuova abitazione, oltre magari in alcuni casi a pagare parzialmente il mutuo in cui vive l’ex se c’è un figlio in comune.
In realtà, non tutti lo sanno ma ci sono delle situazioni in cui questa circostanza può venire meno. Emblematico è quanto deciso dalla Corte d’Appello di Bologna in una sentenza emessa recentemente.
Il giudice, infatti, ha revocato l’importo a una donna che lavorava part time e aveva scelto personalmente di non lavorare a tempo pieno. La Corte è convinta che non fosse così indispensabile lavorare solo mezza giornata: la donna, infatti, ha la qualifica di cuoca, quindi si è tenuto presente la possibilità di poter aumentare le ore di lavoro nel corso del tempo.
La misura è stata poi ulteriormente precisata: “non si può giustificare la scelta di lavorare con l’idea di dover accudire i figli. E questo per due ragioni: loro sono stati collocati in via prevalente presso il padre e hanno un’età che non rende necessario stare costantemente a casa con loro”.