Decine di bancomat sono stati bloccati con la colla: come mai si sta diffondendo questo atto di vandalismo e cosa rischiano gli utenti.
Prelievi e depositi tramite sportello ATM sono una grande comodità per chi ha necessità di prelevare contante e per chi deve velocizzare la ricarica del proprio conto corrente in vista di un pagamento. I Bancomat infatti evitano ai clienti della banca di fare la fila agli sportelli e dunque attendere lungamente prima di poter portare a termine l’operazione di cui hanno bisogno.
Gli sportelli ATM sono spesso presi di mira dai ladri. C’è chi cerca di svuotarne il contenuto e chi invece piazza delle telecamere per clonare le carte di credito dei clienti e rubare loro i risparmi. Mai prima d’ora però si era sentito di qualcuno che incollava la zona di inserimento delle carte. Questo fenomeno si è verificato di recente a diverse decine di sportelli bancomat della BNP Paribas.
Per quale motivo qualcuno dovrebbe incollare la zona adibita all’inserimento delle carte di credito? Puntano per caso a recuperarle in un secondo momento? Si tratta dunque di un rischio per i clienti che non se ne accorgono? Ma soprattutto, per quale motivo sono stati scelti solamente i bancomat della BNP Paribas?
La prima cosa da chiarire è che non si tratta di un nuovo stratagemma per rubare denaro ai clienti di una banca. Dunque non c’è pericolo per i vostri risparmi e nessuno verrà ad aggredirvi nel caso in cui abbiate già inserito la carta e state cercando di recuperarla (anche se a quel punto sarebbe probabilmente inutilizzabile.
La domanda giusta è quindi il perché siano stati colpiti gli sportelli ATM di una sola banca. E la risposta è nota, si tratta di un atto di protesta contro l’istituto bancario da parte del gruppo di attivisti ambientali Just Stop Oil in Francia. La BNP Paribas è accusata di essere responsabile dei danni ambientali che verrano causati tra l’Africa e la Tanzania con la costruzione dell’oleodotto EACOP (East African Crude Oil Pipeline).
L’istituto bancario risulta infatti tra i finanziatori del gigante petrolifero TotalEnergies che si sta occupando del progetto. Lo scopo è quello di estrarre petrolio dall’Uganda e trasportarlo tramite un oleodotto lungo 1.445 chilometri fino a Tonga. Il progetto è noto da tempo e moltissimi movimenti che si occupano di tutela dell’ambiente protestano da anni contro la costruzione dell’impianto.
Proteste che per il momento non hanno sortito effetti, se non quelli di spingere alcuni istituti bancari a rinunciare al finanziamento del progetto (Barclays, Credit Suisse e la sudafricana Standard Bank). Il condotto dovrebbe partire dalla riserva naturale di Murchinson, attraverserebbe 230 fiumi e due dei più importanti bacini idrici dell’Africa come il Lago Alberto e il Lago Vittoria; oltre ovviamente centinaia di chilometri di oceano.
Eventuali perdite, dunque, potrebbero causare la distruzione di moltissimi habitat naturale e l’estinzione di diverse specie animali. Va considerato inoltre che per costruire l’oleodotto sarà necessario fare spostare 12mila famiglie appartenenti a differenti comunità e gruppi etnici, il che potrebbe causare non solo disagi ma anche tensioni sociali.
In questi anni ai gruppi ambientalisti si sono uniti ben 38 movimenti sociali ugandesi e tanzaniani con una lettera di protesta dopo la firma del progetto. Oltre 260 organizzazioni tra africane e internazionali hanno inoltre inviato una lettera a 25 istituti bancari per chiedere loro di non finanziare il progetto. L’atto di protesta di Just Stop Oil, è insomma solo l’ultimo finalizzato a bloccare la costruzione dell’oleodotto.
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