Il processo di desertificazione del suolo italiano sta provocando effetti drammatici sul paesaggio, sull’ambiente, sulla salute e sul portafoglio degli italiani.
I dati sono allarmanti: in 15 anni l’Italia ha perso 100 mila ettari di superficie coltivata e sono scomparsi oltre 100 milioni di piante di frutta. Tutte le principali produzioni autoctone – in particolare le coltivazioni di mele, pere, arance, mandarini, pesche, albicocche, ciliegie ed uva da tavola – ne hanno subito un forte contraccolpo, che si é ripercosso tanto sull’ambiente e sulla salute quanto anche nelle tasche degli italiani.
Le condizioni più gravi riguardano l’uva, con ben 30,4 milioni di viti in meno rispetto a quindici anni fa; e poi le pesche, con l’abbattimento di 20 milioni di piante; infine le arance, con la scomparsa di 16,4 milioni di alberi. Una vera e propria devastazione, con conseguenze estremamente deleterie anche in termini di danni climatici.
Le numerose deforestazioni, infatti, non soltanto aumentano il degrado dei territori trasformandoli in luoghi desolati ed abbandonati, ma diventano in poco tempo ambienti franosi, soggetti ad alluvioni, incapaci di trattenere polveri sottili, di rimuovere CO2 e di ridurre i livelli di inquinamento atmosferico. Una vera e propria strage, che ora si ripercuote anche sulle tasche degli italiani. E che, per questo motivo, comincia a “far rumore”.
Le conseguenze dei processi di desertificazione sui consumatori e sulle aziende
La frutta quindi, che fino ad ora si é sempre distinta come uno degli alimenti commestibili meno cari tra i banchi e le corsie di mercati e supermercati, ha visto il proprio prezzo lievitare sempre di più. Ed i primi a farne le spese sono proprio gli imprenditori agricoli e le oltre 10 mila aziende dedicate al settore ortofrutticolo in Italia.
Oltre alla deforestazione, infatti, e con la complicità anche dei rincari dell’energia, in pochi mesi i costi per la produzione della frutta in Italia sono aumentati del 42%. Se a ciò aggiungiamo la concorrenza dall’estero, che per quasi un prodotto alimentare su 5 tra quelli importati nel nostro Paese non rispetta le normative che i nostri produttori sono invece severamente tenuti a rispettare, ecco quindi giungere la tempesta perfetta.
Ed i consumatori ne pagano necessariamente le conseguenze. Tanto per i prodotti nostrani, sempre più scarsi, quanto per quelli importati, comunque più costosi. Uno degli obiettivi da raggiungere nella speranza di arginare il grave problema é di far leva sulle attività di export, che vale circa 3,8 miliardi di Euro all’anno. Tuttavia, posto anche che funzioni per l’economia, portare la nostra – poca – frutta altrove per importarne altra dall’esterno per consumarla “in casa”, sarebbe davvero la soluzione più vantaggiosa per l’ecosistema? O forse la toppa rischierebbe di creare un buco che assomiglierebbe sempre di più ad una voragine?