Le offese e le minacce scritte su Internet possono essere perseguite penalmente. Ecco alcuni consigli su come procedere se si viene offesi.
Molte persone pensano che quello che si scrive su Internet sia privo di conseguenze.
Eppure, i famosi “leoni da tastiera” che agiscono online pensando di essere al sicuro dietro uno schermo, sono in realtà sottoposti alle leggi dello Stato e possono essere perseguiti per reati come la diffamazione sui social. Ci sono situazioni in cui ciò che si scrive sui social può costituire un reato.
La diffamazione e la minaccia sono i reati più comuni che si verificano sui social network quando si insulta o si promuove discorsi di odio. Esiste anche un terzo reato, l’ingiuria, che però dal gennaio 2016 non è più un reato penale. Ciò significa che l’ingiuria è diventata un illecito civile piuttosto che un reato penale.
La diffamazione avviene quando si offende la reputazione di una persona di fronte ad almeno due altre persone. La diffamazione sui social network si verifica quando si pubblica un commento offensivo che è visibile a tutti o a una cerchia di persone. La pena può essere una multa o la reclusione da sei mesi a tre anni.
L’offesa sui social network può essere considerata particolarmente grave perché può essere letta da un numero indeterminato di persone, come se si insultasse qualcuno in un luogo pubblico. Per dimostrare la diffamazione sui social network, è possibile fare uno screenshot dell’insulto o del commento e consegnarlo alla polizia postale per le indagini.
Tuttavia, è importante considerare che le immagini possono essere ritoccate tramite software e app. Anche i profili social della persona incriminata potrebbero essere stati hackerati o utilizzati da altri. Questi fattori rendono spesso difficile il proseguire delle indagini e, consapevoli dell’inefficienza della burocrazia, molte persone lasciano correre i fatti fin dall’inizio.
È preferibile segnalare l’incidente alla polizia postale, che procederà con le opportune investigazioni per individuare il codice Id, cioè il numero che identifica in modo univoco e preciso l’account di ogni utente, e l‘indirizzo Ip, ovvero il numero di protocollo che identifica in modo certo il punto di connessione a internet.
In ogni caso, la Corte Suprema ha stabilito che, anche in assenza dell’indirizzo Ip, è sufficiente la presenza di gravi, precisi e concordanti indizi. Anche il nickname del profilo del diffamatore può essere sufficiente, a condizione che non ci siano motivi per dubitare che le espressioni diffamatorie siano state effettivamente pubblicate dal proprietario dell’account.
Quindi, cosa può fare la persona offesa? La persona che si sente offesa su internet o sui social media può presentare querela alle autorità entro tre mesi dal momento in cui ha scoperto la presunta diffamazione.
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