In un’epoca che non offre certezze anche le relazioni sono spesso prive di punti fermi. E non tutti riescono a sostenere psicologicamente certi distacchi…
Nessuno può vivere facendo a meno degli altri. Abbiamo bisogno di relazionarci con individui che rappresentano per noi un appiglio, un punto di riferimento, in certi casi una vera e propria ancora di salvezza.
Purtroppo, nell’era delle relazioni fluide e delle certezze disintegrate, un rapporto siffatto è merce sempre più rara.
Di qui la sindrome dell’abbandono, uno dei mali del nostro tempo: il timore di essere “mollati” da qualcuno in cui si crede e di cui ci si fida, gli allontanamenti improvvisi, spesso inspiegabili, che determinano un trauma e la necessità di reinventarsi per non soccombere, di cambiare per non morire, come dice quella famosa canzone.
Tutte le declinazioni della sindrome dell’abbandono
La sindrome dell’abbandono non è l’antica paura di “restare da soli”: chiama in causa dinamiche psicologiche molto più complesse, capaci di intossicare un’intera esistenza. È strettamente legata a un processo di dipendenza affettiva, o di “attaccamento”. In particolare, la teoria psicologica individua quattro diverse tipologie di attaccamento vissute dall’adulto, derivate da quelle sviluppate durante l’infanzia e l’adolescenza.
1. L’attaccamento sicuro
In questo caso la fiducia negli altri è ferma e incondizionata. Il soggetto ha la capacità di relazionarsi senza alcuna remora. Spesso è quello che connota la relazione tra madre e figlio. Gli altri tre tipi di attaccamento sono invece all’insegna dell’insicurezza.
2. L’attaccamento insicuro-evitante
Questa fattispecie nasce dalla convinzione di un bambino, specie in seguito a un trauma, di non ricevere aiuto da chi lo accudisce. È il caso di famiglie con genitori poco presenti o poco empatici. L’adulto cresce quindi facendo affidamento solo su se stesso e prova una paura anticipatoria quando ha l’opportunità di instaurare qualsiasi tipo di relazione, amicale o sentimentale.
3. L’attaccamento insicuro-ansioso
La causa prima è l’esitazione del bambino di fronte alle mosse dei genitori. Spesso il timore di essere abbandonati da loro si protrae negli anni fino all’età adulta. Di conseguenza, le relazioni saranno vissute con la costante ricerca del controllo, in un clima di titubanza e insicurezza. Con eccessi che vanno dall’attaccamento morboso alla violazione della privacy, fino allo stalking.
4. L’attaccamento disorganizzato
Un esempio efficace è quello del bambino che ha un urgente bisogno di attenzioni, ma poi le rifiuta, e dell’adulto emotivamente incoerente che va alla spasmodica ricerca di un pilastro affettivo, frenata però dalla paura di perderlo, fino a stabilire una sorta di “distanza di sicurezza”.
Come uscirne? Chi soffre della sindrome dell’abbandono necessita di un percorso psicoterapico che porti a una nuova consapevolezza: accettare la possibilità di un abbandono vuol dire accettare la vita stessa e la sua inevitabilità. E il dolore e la delusione vanno trasformati in un ponte per un nuovo futuro, libero da dipendenze affettive e dalla paura di perdere le cose che abbiamo e le persone che ci circondano.